Io sono il Nordest, intervista a Barbara Codogno

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Io sono il Nordest, Voci di scrittrici per raccontare un territorio

io-sono-il-nordest-copertinaIo sono il Nordest, Voci di scrittrici per raccontare un territorio è il titolo del libro curato da Francesca Visentin per Apogeo Editore che raccoglie le voci di 18 autrici per raccontare le donne del Nordest e le loro storie.

La settimana scorsa qui su Love & Culture – Greenpink Magazine abbiamo iniziato un viaggio insieme alle autrici di Io sono il Nordest con un’intervista multipla ad alcune delle protagonista della raccolta curata da Francesca Visentin.

Dopo l’intervista a Isabella Bossi Fedrigotti continuiamo oggi con l’intervista a Barbara Codogno.

Intervista a Barbara Codogno

Qual è stata la tua prima reazione quando ti hanno proposto di collaborare a Io sono il Nordest?

Ho visto nascere e crescere l’intero progetto da vicino. L’idea di una lobby di scrittrici o una crew come la chiama la curatrice dell’antologia, Francesca Visentin, mi è parsa fin da subito un buon modo per fare “massa”. Recentemente ho annotato una frase del grande Paolo Maurensig che condivido in pieno: “I buoni sentimenti fanno solo cattiva letteratura”. Tempo fa era stata pubblicata l’antologia dei Buoni sentimenti, un progetto tutto al maschile. Nel titolo ovviamente c’era ironia e nell’antologia c’era buona letteratura ma si trattava soltanto di un punto di vista maschile, come spesso, troppo spesso accade. Qui non si tratta di “quote rosa”, argomento che mi repelle. Piuttosto, dopo le black panther, sarei, per lo meno io, incline alle pink panther… ma si sa che io sono punk nel cuore.

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Nel sottotitolo della raccolta si parla del Nordest come di un luogo diviso “tra crisi e rinascita”: che ruolo hanno le donne in questa situazione appunto “tra crisi e rinascita”?

Anche questo è un argomento spinoso. Ti direi piuttosto che va riconsiderata l’economia, il lavoro, la meritocrazia, i privilegi, gli ammanicamenti, le raccomandazioni… Se non cambia un modo di essere e di fare che contraddistingue l’italianità, ci sono pochi discorsi da fare. La crisi è una crisi controllata, voluta. La rinascita è pura retorica. C’è un modo di pensare da cambiare. In questo le donne secondo me possono avere un ruolo importante, solo a patto di non farsi imbrigliare dai meccanismi di questo potere, solo a patto di non mandare tutto all’aria per una raccomandazione che ti piazza nel posto giusto. Ma quando un Paese è alla fame e alla frutta capisco che ognuno ragioni per sé e allora che crisi sia, fino in fondo. Solo quando si esaspereranno le contraddizioni sociali potremo forse sperare in un cambiamento.

Partiamo da Nordest e allarghiamoci a tutta l’Italia: perché siamo ancora così in ritardo su un tema centrale come quello della come la parità di genere?

Guarda, parità intanto non significa niente. Per quanto poco una donna che sia anche madre si deve smazzare una vita dura se vuole far bene un lavoro, qualsiasi esso sia. Bisognerà riformulare i criteri di “produttività”. E poi moltissimo si gioca sul corpo delle donne, che fondamentalmente ancora non ci appartiene. Pensa ai bisogni indotti, non è che il botox labiale mi cambia la vita, magari un contratto di lavoro serio si…

Personalmente ho letto Io sono Nordest come un libro positivo, ricco di speranza anche quando affronta temi molto duri. Qual è la tua speranza per il nostro territorio e per le donne che ci vivono combattendo mille battaglie quotidiane?

Innanzitutto la consapevolezza che abbassare la testa per portare a casa qualcosa nell’immediato è controproducente. Abbiamo perso completamente il senso del “domani”, del “futuro”. Siamo impegnati a salvarci la pelle e non pensiamo affatto alle generazioni che verranno, perché le generazioni che ci hanno preceduto ci hanno saccheggiato di tutto, nessuno ha voluto fare da maestro, nessuno ha lasciato un’eredità. Ci hanno consegnato un mondo spolpato e noi adesso addentiamo l’osso senza pensare che con noi il mondo mica finisce. La mia speranza è che l’individuo smetta di pensarsi al centro del mondo e metta il mondo al centro del suo pensiero.

Qual è il racconto che ti ha colpito di più tra quelli delle altre autrici della raccolta e perché

Faccio un distinguo. Per quanto riguarda la bella “scrittura” sicuramente il racconto di Francesca Diano. Si sente che maneggia la penna sapendolo fare. Per l’ostinazione, l’abnegazione, la totale dedizione alla causa sicuramente Antonia Arslan, questa scrittrice finché avrà fiato continuerà a dire del genocidio armeno. Tanto di capello, massimo rispetto. Poi invece, per freschezza, per l’approccio a temi e al linguaggio del contemporaneo, sicuramente Elena Girardin. Diciamo che porta un tocca di giovinezza all’antologia, che non è male.

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